L’isola fantasma – quinta e ultima parte

L’ISOLA FANTASMA

Un racconto di Luca Nisi

 

 

Il suo alloggio era una piccola camera composta da un letto,  un armadio, una scrivania e il bagno. Un piccolo oblò come finestra mostrava uno spicchio di Plutone mentre sulle pareti c’erano le fotografie in bianco e nero delle precedenti missioni della Nasa nello spazio.

Le parete erano grigie così come le lenzuola della sua branda. L’unica cosa colorata era la fotografia, che ritraeva Noemi, sopra la scrivania. 

La giovane iguana che era stata compagna di giochi del bambino Marcus, era stata fotografata insieme a lui in una bellissima giornata di sole nella casa paterna.

Marcus si tolse l’uniforme ed entrò nella doccia sonica. Quegli ultrasuoni che avevano il compito di ripulire il corpo su Marcus sembravano avere un effetto rilassante e quei pochi istanti al Tenente Schwartz sembrarono davvero minuti di pace. Finalmente, lontano da tutto quel caos a cui era andato incontro. Socchiuse leggermente gli occhi come per addormentarsi e di nuovo un’orrenda visione lo possedette.

Prima, come in un flash back, fu di nuovo su quel pianeta infernale mentre scappava da quella bestia immonda, ma questa volta percepì nitidamente che “qualcuno” lo aveva aiutato a  condurlo lontano dal sangue, dal tumulto, dalle grida e dai morti che galleggiavano oscenamente in quell’oceano di sangue.

Infine la visione lo condusse in una specie di sito archeologico sormontato da un gigantesco sole rosso nel cielo. Davanti a lui delle rovine sconosciute e all’orizzonte un infinito deserto. Vide centinaia di anfore perfettamente squadrate e quando  si avvicinò per scrutarne il contenuto fece un’orribile scoperta. In quei vasi antichi c’erano conservati scheletri intatti di bambini. Sorpassato quel macabro magazzino c’era uno scavo dal quale emergeva il resto di un muro, forse un acquedotto, quello che vide non furono solo i resti del materiale usato per costruirlo, osservò che tra i sassi e il fango spuntavano tantissime ossa umane. Sembrava di osservare una grande discarica di corpi. Quando il sibilo della doccia sonica si interruppe Marcus riaprì gli occhi e si ritrovò a sudare freddo. A quel punto  era completamente scoraggiato da tutto quello che gli stava capitando. Decise di radersi visto che la barba non faceva parte della divisa della Nasa.

Però, quando si trovò dinanzi lo specchio con il suo rasoio laser in mano, non ci riuscì. Qualcosa lo fermò. A malapena tornò nella camera da letto,  dove molto lentamente si rivestì.

Completamente in balia di un requiem scritto per lui si sedette senza far rumore sul letto, aspettando una chiamata del suo superiore o di chi o cosa si era messo a tirare i fili della sua vita.

Nel primo pomeriggio il Tenente Marcus Schwartz fu chiamato nella sala tattica dell’ufficiale capo della stazione orbitante Arkham.

L’ufficio del suo superiore era un freddo ambiente posto sul lato esterno della base rispetto a Plutone. Marcus si presentò in perfetto orario, il suo aspetto era davvero preoccupante, la barba era lunga e malcurata ed il viso del pilota era quello di un ragazzo che si stava inspiegabilmente lasciando andare. 

Sopra la scrivania del capitano c’era una grande fotografia della sonda New Horizons, il primo mezzo terrestre a raggiungere Plutone e Caronte per poi spingersi oltre la fascia di Kuiper. 

Chissà se quella sonda lanciata nel lontano 2006 aveva incontrato anch’essa quell’isola fantasma che aveva letteralmente cambiato per sempre la vita di Marcus.

 

“Tenente ho letto con grande attenzione il suo rapporto.  Analizzando razionalmente quello che ha riferito,  mi pongo diverse domande. La prima: tenente, lei è completamente impazzito? Sta tentando di farsi trasferire sulla Terra? Oppure in decenni di esplorazione trans nettuniana non ci siamo mai accorti di un pianeta e soprattutto, di quello che secondo lei nasconde? Qui in queste pagine si riscrive la storia dell’umanità: non siamo soli nell’universo.” Disse in tono di scherno il capitano della stazione orbitante Arkham.

Marcus si limitò ad annuire, mentre nella stanza entrarono altre due persone, un supervisore civile e l’ufficiale medico della base. Il capitano Max Frontier riprese a parlare.

“Abbiamo verificato le coordinate del pianeta che lei avrebbe scoperto e ribattezzato Isola Fantasma; purtroppo Marcus là fuori non c’è nulla di quello che lei afferma.”

Marcus annuì e il capitano riprese il suo monologo.

“Abbiamo controllato tutte le attrezzature, le registrazione dei sensori della nave, non abbiamo trovato niente. Marcus mi dispiace deluderla ma non ci sono prove concrete per avvalorare le sue parole.”

Marcus accennò una piccola reazione e sbiascicò: “Vi dico che c’era.”

Il supervisore civile prese la parola: “Tenente secondo il suo rapporto lei avrebbe scoperto una grotta nel tentativo di recuperare la sonda esploratrice?” Marcus annui con la testa. “Non voglio entrare nel merito di quello che avrebbe scoperto dopo, che lei spiega dettagliatamente nel suo rapporto. La storia più strana è la vicenda del suo casco, lei ha dichiarato che dopo una caduta la visiera si era incrinata e rotta. Mi chiedo, come può essere sopravvissuto?”

Fece una pausa. “Tenente, lei è un ufficiale esperto, sa benissimo cosa potrebbe accadere: deterioramento dei tessuti molli, esposizione diretta a radiazioni di ogni tipo e, ovviamente, la mancanza di aria da respirare. Facendola breve, lei dovrebbe essere morto.”

Marcus si limitò a rispondere: “E’ come se lo fossi.” 

Il capitano Max Frontier era seduto sotto la grande diapositiva della sonda New Horizons e osservava Marcus. Non riusciva più a riconoscere il suo fidato ufficiale,  barba lunga, sguardo perso nel vuoto. Dov’era ferito il giovane ufficiale che durante i voli d’addestramento cantava a squarciagola le vecchie canzoni di Frank Sinatra?

Il medico di bordo prese la parola: “Marcus. Analizzando il rapporto e i sogni che hai descritto stamattina in infermeria, dobbiamo anche considerare che molto probabilmente tu possa aver immaginato tutto. Una diagnosi preliminare potrebbe indicare uno stress spaziale. Magari hai attraversato una tempesta ionica, non conosciamo ancora del tutto le conseguenze che può portare sulle funzioni neurali.”

Marcus scosse la testa e poi rise. Era una risata amara, d’un tratto alzò lo sguardo verso i suoi superiori. “Voi non capite, io sono stato su quel pianeta e ho attraversato una specie di passaggio verso un altro universo e ho  visto qualcosa che presto si riverserà implacabile nel nostro. Non siamo soli e soprattutto siamo e saremo soltanto cibo.”

Il capitano Max Frontier sbottò contro il suo ufficiale,  gli ordinò di abbandonare immediatamente la riunione e di confinarsi fino a nuovo ordine nel proprio alloggio. Marcus rimase in silenzio, guardò ancora una volta i suoi superiori, che continuavano a fissarlo sbigottiti e delusi. Poi si alzò dalla sedia e fece un passo verso l’uscita, però prima di afferrare la maniglia della porta si girò di nuovo verso i tre uomini. “Volete davvero una prova?” Sussurrò a malapena.

Marcus si slacciò la divisa bianca e grigia della Nasa e rimase a torso nudo di fronte a quelle persone che lo credevano pazzo. I tre uomini istintivamente sobbalzarono increduli dalle loro sedie, il supervisore urlò come una donnicciola, il medico rimase muto ed immobile davanti alla scena, mentre il capitano portò istintivamente la mano destra alla pistola laser, ma non riuscì né a parlare né ad estrarre l’arma tanto era sconvolto da quello che aveva di fronte.

Dinanzi a loro c’era il giovante Tenente Marcus Schwartz a torso nudo. Il suo busto era completamente ricoperto da terrificanti occhi bianchi, che orrendamente vivi li fissavano muovendo quell’unico iride in un modo cosi anormale da impietrire l’anima di qualsiasi essere umano.

“Non siamo soli.” Ripeté amareggiato Marcus prima di ricoprire quei terribili occhi ed uscire lentamente dalla sala tattica della stazione orbitante Arkham.

L’isola fantasma – quarta parte

L’ISOLA FANTASMA

Un racconto di Luca Nisi

Marcus sfiorò con le dita il vetro perennemente appannato, cercando di scorgere tre le stelle lontane quel puntino chiamato casa.  “Tenente entri pure”. La voce del capitano lo distolse dal suo viaggiare tra le stelle e lo riportò alla realtà, a bordo della stazione orbitante Arkham.

Il colloquio con il suo superiore durò soltanto una decina di minuti e quando Marcus riapparve sul lungo e grigio corridoio il vetro era di nuovo appannato e le stelle nascoste. Marcus si incamminò verso il suo alloggio con passo svelto e lo sguardo basso. Da quando nella notte spaziale era rientrato dalla sua ultima missione non era uscito quasi mai dalla sua cabina si era fatto vivo solo ad un meeting e alla mensa la mattina. Nel pomeriggio era stato chiamato dal suo superiore per capire perché ancora non aveva stilato nessun rapporto sulla sua ultima missione esplorativa. Nel breve colloquio che aveva avuto, Marcus riferì al capitano di non sentirsi perfettamente bene e chiedeva di presentarsi in infermeria. Aveva comunque promesso che avrebbe preparato il rapporto nelle prossime ore.

Difficile da comprendere la situazione del Tenente Marcus Schwartz. La notte precedente si era risvegliato a bordo della navetta esplorativa SB6 Conrad che fluttuava senza controllo nello spazio. Si era destato comprensibilmente scosso, anche perché i suoi ultimi ricordi erano tutt’altro che piacevoli. Erano trascorse ben tredici ore dal suo ultimo contatto radio e non si spiegava se avesse sognato tutto quello che gli era accaduto o se fosse stato vittima di qualche inganno. L’unica cosa certa era che, riaccesi i propulsori di manovra, la navetta si era ristabilita in posizione orizzontale e successivamente, quando aveva ricalcolato la sua posizione, si era reso conto di essere a poche centinai di chilometri dal pianeta che credeva di aver scoperto. Purtroppo o per sua fortuna quell’ammasso di roccia apparso dal nulla era scomparso ed i sensori della Conrad non rilevavano più la sua isola fantasma. Marcus come prima cosa fece un controllo sulla sonda: se era stato veramente su quel pianeta, la sonda doveva essere rimasta danneggiata nella grotta. Invece Noemi era a bordo, perfettamente imballata e con tutto il suo l’equipaggiamento era intatto. Poi ricordò che il suo casco si era incrinato, ma anche quello era al suo posto, come nuovo. Nessuno di certo avrebbe creduto alla sua storia, per questo non aveva ancora consegnato il rapporto. Chi mai avrebbe creduto ad un viaggio in una galassia lontana e all’incontro con un abominevole mostro delle stelle impegnato in un baccanale?

Marcus  in realtà il rapporto lo aveva scritto già a bordo della Conrad ma non aveva avuto il coraggio di mostrarlo ai suoi superiori. Troppi dubbi si erano insinuati nella psiche del soldato, soprattutto su cosa avrebbe portato quel rapporto alla sua carriera, che futuro poteva avere con una storia come quella? Durante la notte ad Arkham, Marcus accusò una forma influenzale che gli permise di prendere altro tempo per riflettere. Purtroppo quello stato influenzale ebbe anche dei risvolti non proprio piacevoli. Marcus quella notte fece diversi incubi, uno in particolare sembrava essere ricorrente. Immagini nitidissime di tantissimi corpi ridotti a scheletri, come se fossero stati seppelliti tutti insieme da esseri alieni talmente mostruosi che era impossibile descrivere. Marcus sognava di osservare con attenzione questi scheletri e in lui cresceva forte la percezione di una tragedia collettiva. Come fotografie indelebili rimanevano impresse nella sua testa scatti di scheletri che raccontavano ognuno una storia a se. Impressionante era l’immagine di uno scheletro, probabilmente di un minore, con un collare di ferro al collo, legato con una lunga catena. Oppure lo strazio di una madre con i due figli piegati su stessi, come a nascondersi da qualcosa di terribile. E ancora uomini con degli arti mancanti morire agonizzando sotto lo sguardo inquisitorio di esseri non umani. L’incubo si concludeva con un grande vento che si alzava e portava verso Marcus suoni raccapriccianti e all’orizzonte una  immensa nube nera che avanzava minacciosa verso di lui.

La mattina seguente, cercando di analizzare il sogno con un psicologo della base, Marcus era giunto alla conclusione di aver osservato il passato o il futuro dell’umanità. Secondo l’analisi dell’incubo l’umanità avrebbe subito una fortissima discriminazione, una sorta di gogna che avrebbe messo in evidenza  davanti a qualcuno o qualcosa la propria condizione impura.  Marcus definì la sua esperienza notturna: “sbalorditiva ed inquietante”. Trovandosi ormai in uno stato confusionale il tenente della Nasa decise di consegnare il suo rapporto, così quando fu dimesso dall’infermeria lo inviò ai suoi superiori. In attesa di essere chiamato per discuterne decise di tornare nel suo alloggio per rendersi almeno presentabile di aspetto, perché sapeva che difficilmente i suoi superiori lo avrebbero preso sul serio. [continua…]

L’isola fantasma – terza parte

L’ISOLA FANTASMA

Un racconto di Luca Nisi

Per sua sfortuna fu una brutta caduta e Marcus perse i sensi. Al suo risveglio dopo alcuni minuti fece una scoperta agghiacciante, la visiera del suo casco si era incrinata fino a rompersi, a quel punto pensò di avere pochi istanti di vita. Invece si rese conto che incredibilmente su quel pianeta c’era un atmosfera ed un aria  respirabile. 

Allora si fece coraggio e si alzò di nuovo in piedi e quando si girò verso il sole si rese conto di essere arrivato dinanzi ad uno sconfinato oceano rosso. Si alzò la visiera del casco per vedere meglio.

Davanti a lui un intero mare infinito di lava, almeno era quello che credeva di vedere. Era stato tratto in inganno dal calore dei soli, perché quando si sporse per vedere meglio, fece una scoperta che gli trafisse prima la mente poi il cuore ed infine gli mise a soqquadro lo stomaco.

All’orizzonte i sette soli messi uno dietro l’altro riempivano meravigliosamente quel cielo ricolmo di stelle e galassie. Un firmamento strepitoso che faceva da contro altare a quello che vide nell’oceano rosso.

Un intero mare di rosso sangue stracolmo di corpi e di cose mostruose che galleggiavano, sia vive che morte in quell’orrendo calderone, che con il calore del primo sole ribollivano emanando un forte odore di morte.

Il fetore era talmente abominevole che indusse Marcus a vomitare ripetutamente. Cosa galleggiasse in quel liquido rosso era difficile da capire, mostruosità che si fondevano tra di loro, interiora che schizzavano al cielo in quel caos infernale, corpi che si mischiavano uno su l’altro in modo così raccapricciante che Marcus stava perdendo la propria coscienza. 

Vi erano grappoli di arti privi di busti, braccia che si agitavano nel sangue, creature di ogni genere malformate e deformi che si dimenavano come impazzite. Oltretutto in quel luogo c’era una forza che stava cominciando ad invadere la sua mente, un orrendo richiamo si stava insinuando nella sua testa: grida inumane e dolore fisico, paura e terrore si allargavano a macchia d’olio nella sua psiche tanto da farlo cadere sulle ginocchia.

Poi, all’improvviso, dal centro di quel mare di morte e disperazione una cosa immonda emerse. Marcus la vide in tutta la sua maestosità, era talmente grande che coprì la visuale dei sette soli. Se fosse stato possibile avrebbe annotato l’ennesimo fenomeno endemico del pianeta, ma la sua mente era completamente invasa dal terrore. Davanti a lui una bestia nera alta come cinquanta piani di un palazzo, se non di più, tutto il suo corpo era cosparso di tentacoli come un gigantesco anemone di mare, nero come il petrolio.

Con quei mille tentacoli afferrava i corpi che galleggiavano nel calderone e li portava in quelle che probabilmente erano le sue fauci.

Marcus era inorridito, sembrava paralizzato, ma quando le urla delle creature divorate echeggiarono per tutta la zona, l’istinto di sopravvivenza lo sbloccò e gli permise di correre velocemente verso la pozza da cui era emerso.

Correva a fatica lungo la pianura di basalto e non ebbe mai il coraggio di voltarsi verso quel mostro, il suo respiro affannato era solo una piccolissima parte del rumore che copriva tutta l’intera zona. Delle grida disumane riecheggiavano nell’aria, ma niente fu così terrificante come l’urlo che emise quella bestia immonda, un suono cosi raccapricciante che fece ancora una volta cadere a terra Marcus.

L’uomo rimase immobile credendo di morire, baciò la nera terra che aveva ad un millimetro, si alzò lentamente e riprese a correre, lui non se ne accorse o almeno non si girò per capire, ma un lunghissimo tentacolo tentò di agguantarlo sfiorandolo per pochi metri.

Finalmente, dopo più di un ora di corsa,  riuscì  a raggiungere la pozza da dove era arrivato. Una volta davanti a quell’acqua misteriosa fece dei passi all’indietro per prendere una piccola rincorsa. Non sapeva cosa altro fare, si sarebbe gettato nella pozza sperando che quella fosse una specie di passaggio per il suo universo.

Chiuse la visiera del casco, più che altro un gesto automatico sapendo benissimo che era rotta. Cominciò a correre ma dopo pochi passi si fermò impietrito. Nella pozza si era formato dal nulla un grandissimo occhio bianco che cominciò a fissarlo.

Era abominevole e Marcus era di nuovo immobile dalla paura, l’occhio mostruoso lo osservò per alcuni minuti, poi in un istante si frantumò in tantissimi piccoli occhi, che invasero la pozza. Poi, simili a milioni di ragni, emersero come un esercito alla carica e tutti velocemente si diressero su Marcus. Il tutto si svolse in pochi secondi e l’ufficiale della Nasa fu completamente sommerso da quei piccoli ragni che al posto del corpo avevano un orrendo occhio bianco. [continua…]

L’isola fantasma – seconda parte

L’ISOLA FANTASMA
Un racconto di Luca Nisi

Dopo alcune ore di viaggio la Conrad entrò nell’orbita di questo nuovo pianeta nello spazio trans-nettuniano. I sensori non avevano mentito il “plutino” c’era. Con l’orgoglio tipico dell’esploratore, Marcus accese i razzi d’atterraggio ed in pochi minuti  fece poggiare il piccolo veicolo terrestre sulla superficie, si rammaricò di non avere con se una bandiera della Nasa da piantare sul suolo di questo pianeta nano. Con l’ironia che lo contraddistingueva lo battezzò: “Isola Fantasma”, Marcus non aveva paura che gli crescesse il naso. Il planetoide per le dimensioni ricordava Plutone ma come caratteristiche era molto simile alla nostra Luna, grazie alla debole luce di una stella lontana la sua superficie era parzialmente illuminata. Dopo il primo entusiasmo figlio della nuova scoperta, Marcus si era reso conto di essere atterrato in uno scenario desolato colorato di grigio e nero. Per un attimo percepì la sensazione di essere giunto nel luogo più solitario e privo di vita di tutto l’universo. Le moderne tute della Nasa lo facilitavano nell’esplorazione del pianeta, comode e funzionali gli permettevano facili spostamenti sul pianeta. Gli stivaletti magnetici gli permettevano di camminare sulla superficie invece di saltare come era capitato ai primi astronauti che avevano inaugurato l’esplorazione spaziale. Il casco era piccolo e funzionale, l’ossigeno circolava con grande facilità al suo interno. Dalla stiva della Conrad aveva preso il macchinario per valutare se ci fossero giacimenti da sfruttare. Il macchinario era una piccola sonda dotata di quattro ruote motrici ed un terminale addetto all’analisi e il prelevamento di campioni rocciosi.  Marcus la controllava e la direzionava tramite un comando a distanza. La piccola sonda si aggirava tra la polvere, senza acqua o vento che potesse modificare il suo percorso. L’ufficiale terrestre trascorse sul suolo del’isola fantasma almeno otto ore, raccogliendo almeno una trentina di chili di rocce da riportare sulla base orbitante Arkham. Fu in modo del tutto causale che Marcus fece un incredibile scoperta. Il Tenente Marcus Schwartz prima di finire sul desolato pianeta fantasma aveva nel suo curriculum ben trentacinque missioni spaziali, non era certo un novellino dello spazio. Quindi non si spaventò quando la piccola sonda denominata affettuosamente Noemi cadde in un crepaccio del diametro di poco più di mezzo metro. Marcus la seguii senza paura, non poteva certo perdere il materiale scientifico a lui assegnato. Prima ipotizzò che Noemi fosse caduta dentro una buca, poi quando si rese conto che la sonda era caduta per almeno tre metri si rese conto dell’incredibile ritrovamento.  La realtà era che Marcus aveva scoperto una grotta di circa centocinquanta metri quadrati. Un ritrovamento eccezionale con migliaia di stalagmiti, stalattiti e colonne anche alte sei metri. La cosa più incredibile che non sfuggì all’occhio di un ufficiale esperto come Marcus fu il fatto che quelle strutture inorganiche erano tipiche delle grotte carsiche, quindi in quel luogo era elevatissimo il livello di umidità. Purtroppo causa la caduta Noemi si era danneggiata e non trasmetteva più nessun dato, Marcus non si perse d’animo e con l’aiuto  di una torcia al plasma si mise ad esplorare la caverna. Nonostante la poca illuminazione, era certo che prima di lui nessun essere umano aveva messo piede nella caverna, anche perché sia le stalattiti che le stalagmiti erano intatte.  Una condizione, come quella che si era creata in quella caverna, gettava in ridicolo la scienza stessa. Una scoperta di un altissimo valore, mentre Marcus osservava la caverna fantasticando sull’importanza ed il prestigio che gli avrebbe portato questa scoperta, non fece caso a dove metteva gli stivaletti ed in un attimo cadde goffamente dentro una pozza di un liquido che poteva assomigliare come consistenza all’acqua. Marcus affondò rapidamente per diversi metri, poi dopo alcuni minuti con grande fatica riuscì a riprendere il controllo del suo sprofondare. Subito constatò di aver perso la sua torcia in quello che poteva essere anche un abisso senza fine. Dopo diversi momenti di faticosa risalita Marcus giunse finalmente in superficie, ma quello che vide una volta emerso non gli piacque affatto. Il Tenente Marcus Schwartz dell’ente spaziale Nasa riemerse da quel abisso oscuro in un altro mondo. Difficile da spiegare per Marcus ma approdò su una superficie lontana anni luce dalla grotta in cui era precipitata la sua sonda. Ora sopra di lui c’era un gigantesco cielo alieno stellato con ben sette soli che uno dietro l’altro rendevano incandescente una parte del pianeta. Ora si trovava su un astro che teoricamente poteva essere grande due volte la Terra.  La prima cosa da fare in queste situazioni era non perdere la calma ed un buon soldato sa come mantenere i nervi saldi. Il motto del suo corpo era: “Improvvisare, adattarsi e vincere”. Per prima cosa prese dei punti di riferimento per non perdere la posizione dell’abisso da cui era emerso. Seconda cosa annotò con un timer la scadenza di ossigeno nella tuta, aveva ancora più di quattro ore d’ossigeno. Ovviamente Marcus  stabilì che era finito su un pianeta di tipo terrestre (in senso astronomico, ma per questo non significava trovarci laghi e foreste). Anzi sembrava che fosse lontanissimo dall’essere abitabile, ancora più assurdo Marcus non riusciva a capire in quale galassia si trovava e soprattutto come fosse arrivato in quel mondo sconosciuto.  Intanto si rese conto che uno dei sette soli che vedeva in cielo era molto vicino, dopo un ora di cammino comprese che il pianeta non aveva affatto una rotazione ed un emisfero era rivolto per l’eternità verso i sette soli, portando la temperatura a picchi elevatissimi. Così all’orizzonte guardando verso il primo sole a Marcus sembrò di intravedere sullo sfondo enormi oceani di lava, mentre alle sue spalle una fredda tenebra doveva avvolgere tutto l’altro lato del pianeta. Incuriosito da quell’oceano di lava Marcus si incamminò verso di esso. Il paesaggio intorno a lui era tetro, un suolo nero come il basalto si estendeva lungo tutta la pianura verso quel mare sconosciuto. D’un tratto una forte scossa di terremoto lo fece cadere rovinosamente sul suolo vulcanico. [continua…]

(pubblicato originariamente su LEGGENDE DALLA CRIPTA DI CTHULHU parte LVI del 27 maggio 2011)

L’isola fantasma – prima parte

L’ISOLA FANTASMA

Un racconto di Luca Nisi

“Come fly with me, let’s fly, let’s fly away…” Sotto la voce inconfondibile di  Frank Sinatra  la navetta spaziale SB6 Conrad viaggiava nello spazio alla ricerca di nuovi pianeti. La sua missione era trovare giacimenti utili per l’estrazione di minerali solidi. Principalmente le sue ricerche si focalizzavano sui planetoidi: quei corpi celesti come gli asteroidi che hanno alcune caratteristiche  simili ai pianeti.  La navetta Conrad, con al timone il giovane Tenente Marcus Schwartz era partita alle ore zero sette spaziali dalla base spaziale orbitante Arkham, situata sopra l’orbita di Plutone proprio ai confini del nostro sistema stellare. La navicella era diretta verso la grande fascia di asteroidi Kuiper. Mentre il brano musicale datato 1958 parlava di un immaginario volo sopra l’India e il Perù, fino alla spiaggia di Acapulco in Messico, la navetta di Marcus si accingeva  a superare gli asteroidi che fluttuano silenziosi nel buio e freddo universo. Gli asteroidi sono immensi blocchi di roccia, niente altro che  i resti  delle formazione dei pianeti rocciosi. Inutili fossili polverosi che se fossero stati vicini alla Terra illuminerebbero il cielo notturno con il  bagliore delle loro polveri. Marcus aveva impostato la rotta per attraversare la fascia e mettersi alla ricerca di qualche planetoide utile all’estrazione di minerali. All’improvviso una spia rossa si accese sulla consolle, Marcus interruppe la musica e si concentrò sulle luci lampeggianti della plancia.  La griglia dei sensori laterali aveva rilevato qualcosa. Marcus rimase perplesso i sensori avevano individuato un planetoide a solo 1,3 parsec di distanza. Impossibile, pensò il giovane ufficiale, le mappe stellari non indicano nessun pianeta in quella zona remota della galassia. Difficilmente i sensori vengono ingannati, un’altra “Isola del Podestà”? Come ogni buon studente anche Marcus sapeva benissimo che negli anni delle esplorazioni marine sulla Terra, ci furono molti casi di isole fantasma.  Come la “fantomatica” storia del capitano italiano Pinocchio sul vascello: Barone Podestà, che nel 1879 affermò di aver avvistato un isola di circa un chilometro nelle vicinanze di Valparaiso in Cile. In realtà l’isola nelle spedizioni successive non fu mai avvistata, così nel 1935 fu cancellata dalle mappe. In questo caso Marcus non avrebbe dovuto aspettare cinquantasei anni per separare la verità dalla burla. Impostò la nuova rotta e in un istante la prua della SB6 Conrad si indirizzò verso le nuove coordinate, senza perder altro tempo Marcus accese di nuovo la musica… “Come fly with me, well fly well fly away”. [continua…]

(pubblicato originariamente su LEGGENDE DALLA CRIPTA DI CTHULHU parte LVI del 27 maggio 2011)