L’ISOLA FANTASMA
Un racconto di Luca Nisi
Il suo alloggio era una piccola camera composta da un letto, un armadio, una scrivania e il bagno. Un piccolo oblò come finestra mostrava uno spicchio di Plutone mentre sulle pareti c’erano le fotografie in bianco e nero delle precedenti missioni della Nasa nello spazio.
Le parete erano grigie così come le lenzuola della sua branda. L’unica cosa colorata era la fotografia, che ritraeva Noemi, sopra la scrivania.
La giovane iguana che era stata compagna di giochi del bambino Marcus, era stata fotografata insieme a lui in una bellissima giornata di sole nella casa paterna.
Marcus si tolse l’uniforme ed entrò nella doccia sonica. Quegli ultrasuoni che avevano il compito di ripulire il corpo su Marcus sembravano avere un effetto rilassante e quei pochi istanti al Tenente Schwartz sembrarono davvero minuti di pace. Finalmente, lontano da tutto quel caos a cui era andato incontro. Socchiuse leggermente gli occhi come per addormentarsi e di nuovo un’orrenda visione lo possedette.
Prima, come in un flash back, fu di nuovo su quel pianeta infernale mentre scappava da quella bestia immonda, ma questa volta percepì nitidamente che “qualcuno” lo aveva aiutato a condurlo lontano dal sangue, dal tumulto, dalle grida e dai morti che galleggiavano oscenamente in quell’oceano di sangue.
Infine la visione lo condusse in una specie di sito archeologico sormontato da un gigantesco sole rosso nel cielo. Davanti a lui delle rovine sconosciute e all’orizzonte un infinito deserto. Vide centinaia di anfore perfettamente squadrate e quando si avvicinò per scrutarne il contenuto fece un’orribile scoperta. In quei vasi antichi c’erano conservati scheletri intatti di bambini. Sorpassato quel macabro magazzino c’era uno scavo dal quale emergeva il resto di un muro, forse un acquedotto, quello che vide non furono solo i resti del materiale usato per costruirlo, osservò che tra i sassi e il fango spuntavano tantissime ossa umane. Sembrava di osservare una grande discarica di corpi. Quando il sibilo della doccia sonica si interruppe Marcus riaprì gli occhi e si ritrovò a sudare freddo. A quel punto era completamente scoraggiato da tutto quello che gli stava capitando. Decise di radersi visto che la barba non faceva parte della divisa della Nasa.
Però, quando si trovò dinanzi lo specchio con il suo rasoio laser in mano, non ci riuscì. Qualcosa lo fermò. A malapena tornò nella camera da letto, dove molto lentamente si rivestì.
Completamente in balia di un requiem scritto per lui si sedette senza far rumore sul letto, aspettando una chiamata del suo superiore o di chi o cosa si era messo a tirare i fili della sua vita.
Nel primo pomeriggio il Tenente Marcus Schwartz fu chiamato nella sala tattica dell’ufficiale capo della stazione orbitante Arkham.
L’ufficio del suo superiore era un freddo ambiente posto sul lato esterno della base rispetto a Plutone. Marcus si presentò in perfetto orario, il suo aspetto era davvero preoccupante, la barba era lunga e malcurata ed il viso del pilota era quello di un ragazzo che si stava inspiegabilmente lasciando andare.
Sopra la scrivania del capitano c’era una grande fotografia della sonda New Horizons, il primo mezzo terrestre a raggiungere Plutone e Caronte per poi spingersi oltre la fascia di Kuiper.
Chissà se quella sonda lanciata nel lontano 2006 aveva incontrato anch’essa quell’isola fantasma che aveva letteralmente cambiato per sempre la vita di Marcus.
“Tenente ho letto con grande attenzione il suo rapporto. Analizzando razionalmente quello che ha riferito, mi pongo diverse domande. La prima: tenente, lei è completamente impazzito? Sta tentando di farsi trasferire sulla Terra? Oppure in decenni di esplorazione trans nettuniana non ci siamo mai accorti di un pianeta e soprattutto, di quello che secondo lei nasconde? Qui in queste pagine si riscrive la storia dell’umanità: non siamo soli nell’universo.” Disse in tono di scherno il capitano della stazione orbitante Arkham.
Marcus si limitò ad annuire, mentre nella stanza entrarono altre due persone, un supervisore civile e l’ufficiale medico della base. Il capitano Max Frontier riprese a parlare.
“Abbiamo verificato le coordinate del pianeta che lei avrebbe scoperto e ribattezzato Isola Fantasma; purtroppo Marcus là fuori non c’è nulla di quello che lei afferma.”
Marcus annuì e il capitano riprese il suo monologo.
“Abbiamo controllato tutte le attrezzature, le registrazione dei sensori della nave, non abbiamo trovato niente. Marcus mi dispiace deluderla ma non ci sono prove concrete per avvalorare le sue parole.”
Marcus accennò una piccola reazione e sbiascicò: “Vi dico che c’era.”
Il supervisore civile prese la parola: “Tenente secondo il suo rapporto lei avrebbe scoperto una grotta nel tentativo di recuperare la sonda esploratrice?” Marcus annui con la testa. “Non voglio entrare nel merito di quello che avrebbe scoperto dopo, che lei spiega dettagliatamente nel suo rapporto. La storia più strana è la vicenda del suo casco, lei ha dichiarato che dopo una caduta la visiera si era incrinata e rotta. Mi chiedo, come può essere sopravvissuto?”
Fece una pausa. “Tenente, lei è un ufficiale esperto, sa benissimo cosa potrebbe accadere: deterioramento dei tessuti molli, esposizione diretta a radiazioni di ogni tipo e, ovviamente, la mancanza di aria da respirare. Facendola breve, lei dovrebbe essere morto.”
Marcus si limitò a rispondere: “E’ come se lo fossi.”
Il capitano Max Frontier era seduto sotto la grande diapositiva della sonda New Horizons e osservava Marcus. Non riusciva più a riconoscere il suo fidato ufficiale, barba lunga, sguardo perso nel vuoto. Dov’era ferito il giovane ufficiale che durante i voli d’addestramento cantava a squarciagola le vecchie canzoni di Frank Sinatra?
Il medico di bordo prese la parola: “Marcus. Analizzando il rapporto e i sogni che hai descritto stamattina in infermeria, dobbiamo anche considerare che molto probabilmente tu possa aver immaginato tutto. Una diagnosi preliminare potrebbe indicare uno stress spaziale. Magari hai attraversato una tempesta ionica, non conosciamo ancora del tutto le conseguenze che può portare sulle funzioni neurali.”
Marcus scosse la testa e poi rise. Era una risata amara, d’un tratto alzò lo sguardo verso i suoi superiori. “Voi non capite, io sono stato su quel pianeta e ho attraversato una specie di passaggio verso un altro universo e ho visto qualcosa che presto si riverserà implacabile nel nostro. Non siamo soli e soprattutto siamo e saremo soltanto cibo.”
Il capitano Max Frontier sbottò contro il suo ufficiale, gli ordinò di abbandonare immediatamente la riunione e di confinarsi fino a nuovo ordine nel proprio alloggio. Marcus rimase in silenzio, guardò ancora una volta i suoi superiori, che continuavano a fissarlo sbigottiti e delusi. Poi si alzò dalla sedia e fece un passo verso l’uscita, però prima di afferrare la maniglia della porta si girò di nuovo verso i tre uomini. “Volete davvero una prova?” Sussurrò a malapena.
Marcus si slacciò la divisa bianca e grigia della Nasa e rimase a torso nudo di fronte a quelle persone che lo credevano pazzo. I tre uomini istintivamente sobbalzarono increduli dalle loro sedie, il supervisore urlò come una donnicciola, il medico rimase muto ed immobile davanti alla scena, mentre il capitano portò istintivamente la mano destra alla pistola laser, ma non riuscì né a parlare né ad estrarre l’arma tanto era sconvolto da quello che aveva di fronte.
Dinanzi a loro c’era il giovante Tenente Marcus Schwartz a torso nudo. Il suo busto era completamente ricoperto da terrificanti occhi bianchi, che orrendamente vivi li fissavano muovendo quell’unico iride in un modo cosi anormale da impietrire l’anima di qualsiasi essere umano.
“Non siamo soli.” Ripeté amareggiato Marcus prima di ricoprire quei terribili occhi ed uscire lentamente dalla sala tattica della stazione orbitante Arkham.